Impariamo a baciare il pane

Sono nata in una famiglia contadina e quando un pezzo di pane ci cadeva in terra, lo raccoglievamo e i grandi ci insegnavano a baciarlo prima di mangiarlo. I grandi erano i nostri nonni e i nostri genitori: avevano la pelle del viso bruciata dal sole, le mani dure come il legno per il lavoro nei campi. Il pane poteva caderci, ma nessuno in famiglia si sognava di gettarlo. Il pane era per noi il simbolo di ogni dono: gettarlo era “peccato”. E così respiravamo il sapore della terra e del sudore e crescevamo nel culto religioso del pane e di ogni altro frutto della terra e del lavoro umano. Anche quando il pane ammuffiva nella madia bisognava mangiarlo. E ce lo contendevamo perché ci dicevano che ci faceva diventare grandi. Era questo uno dei tanti aspetti della cultura rurale attenta a non far perdere nulla, perché tutto era dono e frutto di tanto sudore. Gettare il pane per il contadino era un insulto a Dio che ce lo mandava, un insulto a chi aveva lavorato, un insulto a chi ne era privo. Eppure già allora nelle favole si raccontava dello spreco inaugurato dal consumismo. Poi siamo cresciuti e abbiamo visto quanto mangiare si getta via nonostante le conclamate crisi economiche. Lo sanno le ruspe che maciullano la frutta. Lo sanno i contenitori di rifiuti ad ogni angolo di strada che certo sono segno di civiltà e di igiene ma sono anche il monumento innalzato al consumismo. Quando nelle case si insegnerà nuovamente a baciare il pane caduto, allora impareremo a ringraziare Colui che ce lo dona e impareremo anche a dividerlo. Non solo, ma comincerà a bastare per tutti.